Osservatorio: schiavismo sessuale
Prostitute o bambine?

Prostitute bambine: sono per lo più albanesi e almeno dal ’94 popolano le strade della città. È un fenomeno impressionante ma sommerso. Di loro non si parla mai o, se se ne parla, per uno straordinario processo di inversione o di censura semantica, se ne parla come di prostitute, mai come di bambine. Perché sono albanesi e irregolari. Se fossero bambine italiane i giornali sarebbero pieni delle loro disavventure, e, oltre ai giornalisti, si occuperebbero di loro orde di psicologi, di sociologi, di pedagogisti e di filantropi. Ma sono clandestine e perciò non esistono. Sono prostitute e perciò sono delle poco di buono.
Hanno dai 14 ai 16 anni. Sono già state stuprate a casa loro e continuano ad esserlo in Italia anche come forma di soggiogamento al racket. Mantengono ciascuna anche due o tre maschi. Quando arrivano non parlano la nostra lingua. Non conoscono le leggi che governano sulla strada la prostituzione. In genere non usano il profilattico: non sanno niente dei comportamenti a rischio e del resto non sono loro a decidere che cosa fare e come farlo. Devono guadagnare in fretta e così, spesso, pigliano più clienti per volta. E allora è facile che le dinamiche del branco si scatenino e infieriscano su di loro. Lo stupro di gruppo è frequente.
Prostitute schiave. Schiave bambine. Bambine da buttare. Clandestine, naturalmente, perché in Italia la schiavitù non esiste e l’infanzia è protetta. E in quanto clandestine sono vulnerabili non solo nei confronti dei loro "protettori", ma di chiunque altro, clienti paganti e non paganti. Sì, anche non paganti: perché è sufficiente esibire un tesserino – vero o falso che sia – di una qualsiasi autorità o milizia che lo stupro è gratis.



L’inganno droga
di Andrea Gallo

Qualche tempo fa sono stato invitato da un centro sociale di Milano a fare da moderatore in un dibattito sulla legalizzazione della droga.
L’ordinamento di quel centro era ben espresso dallo slogan: "Sì alla cannabis. No all’eroina".
Mano a mano che la discussione procedeva, intorno a questa discriminazione gli animi si riscaldavano. Nessuno si azzardava a portare argomenti anche per la legalizzazione dell’eroina. Molte belle parole, e giuste, e condivisibili, a favore della marijuana, invece, le ho sentite.
Quando è arrivato il mio turno mi era chiaro il carattere ideologico della distinzione fra droghe leggere e droghe pesanti che tra i partecipanti di quel dibattito sembrava riscuotere un consenso massiccio.
Dico ideologico perché la differenza non veniva motivata con argomenti rigorosi ma si limitava a ritoccare il confine tracciato dal fronte proibizionista senza neppure tentare di mettere in discussione i fondamenti su cui quella linea di confine è stata a suo tempo tracciata e viene tuttora fatta poggiare.
Così il mio intervento non si è perso in circonlocuzioni e perifrasi di circostanza: "Se vi dicessi che io faccio uso di eroina, cosa fareste? Mi buttereste fuori?"
C’è stato un momento di sbigottimento, e poi il silenzio è esploso in una fioritura di anatemi: "L’eroina no, don Gallo, l’eroina uccide!"
Droghe pesanti e droghe leggere: una distinzione che, quando viene fatta da chi si oppone al proibizionismo, diventa inquietante perché tende a criminalizzare i soli consumatori di eroina.
Una distinzione che non può essere sostenuta da alcun serio argomento, se riferita alle sostanze, ma decreta una distinzione serissima quando viene riferita ai consumatori .
Le mie parole volevano dire proprio questo e spero che col tempo siano state capite.
(…)
In nome di pregiudizi, luoghi comuni infondati, pseudo nozioni e interessi mascherati viene dichiarata un guerra, la guerra alla droga, le cui uniche vittime, innocenti, sono i consumatori.
Una guerra ideologica, anzi una crociata, che sulla pelle dei consumatori genera un doppio e speculare mercato: il mercato clandestino delle sostanze proibite e il mercato legale della coercizione terapeutica.

"L’inganno droga" di Don Andrea Gallo, edito dalla Cooperativa Sensibili alle Foglie, Tivoli (Roma), novembre 1998, Lire 20.000, 104 pagine.



Voci della strada Amore tossico

Mercoledì. Giorno di uscita con l’Unità Mobile: carico, al solito, profilattici, siringhe, the, caffé. Dal furgone vedo Carmelo. Non è un incontro fortuito. Ogni mercoledì aspetta lì per scroccare il passaggio.
– Oh Lilla! Vai in centro a dare le siringhe?
– Sì.
– Me lo dài un passaggio?
– Come sempre, dài, monta.

– Oh, Lilla!
– Sì?
– Ce l’hai l’uomo?
– Sì.
– Come sì? Mi hai tradito?
– Io? Perché?
– Beh, credevo che fossi innamorata di me…
– Ma quando mai?
– Vuoi dire che non mi filavi proprio? Che non mi hai mai filato?
– Certo che no. E piantala di dire ‘ste stronzate. Chi ti credi di essere? Humphrey Bogart?

– Oh, Lilla!
– Sì?
– Anch’io vorrei una donna.
– Tu? Ma non vedi come sei? Quante roche ti sei già fatto oggi e quante birre? Chi vuoi che si metta con te?
– Oh, Lilla, non hai capito. Io voglio una donna, ma non una donna qualunque… Voglio una donna che non sia una tossica, ma che abbia la mentalità della tossica.
– E perché?
– Perché una che si è fatta dei buchi sa cosa significa stare al mondo. Sa cosa vuol dire vivere sulla strada, sbattersi per tirare su il grano, arrangiarsi. Non è facile. E devi stare sempre in campana perché la gente appena può te lo mette in quel posto. Vedi, Lilla, una così non la freghi. A me piacciono le tipe così. Sono più toste; se vogliono, ti fanno rigare dritto, magari a furia di schiaffoni. Le altre, secondo me, non sanno bene cos’è la vita.

– Oh, Lilla, dimmi un po’ una cosa… Quella mora che lavora con te… Un bel pezzo di donna…
– Beh?
– La vediamo stasera?
– Sì, di sicuro è già lì che aspetta.
– E dimmi un po’… lei … la mora… ce l’ha il fidanzato?!!!



Storie Urbane Maronela

Capelli lisci neri lunghi. Occhi profondi neri dal taglio orientale. Bocca carnosa, rossa e un sorriso che metteva allegria, sorriso di bambina. Era una bambina: aveva 14 anni.
Già dalla prima volta che la incontrai ne rimasi affascinata, si muoveva tutta a scatti, non stava mai ferma. La guardavo fissa, tesa a cercare chissà che, forse la sua storia, la sua vita, non so. Notai subito che aveva un livido, non ricordo più se in faccia o su un ginocchio, e solo più avanti, con il passare del tempo, mi resi conto che tutte quelle ammaccature sarebbero state per me una parte della sua storia.
Storia causata da uomini, potenti, che in virtù di una contrattazione di amore e denaro si permettono di scendere gradini di dignità per arrivare ad essere consapevolmente animali.
Come ci vedeva arrivare iniziava a correre, in bilico sui tacchi, su un marciapiede largo non più di 15 centimetri. E gridava, gridava il mio nome, come una pazza scatenata o come solo una persona che ama chiama il suo amore. Ed io frenavo di schianto, incurante delle macchine dietro, perché avevo paura che cadesse. Troppo tesa a che lei non si facesse del male, ancora dell’altro male.
E poi… quattro baci, come si usa nel suo paese. Mano nella mano rimanevamo per un tempo troppo breve a guardarci, in silenzio, con un sorriso un po’ ebete stampato in faccia. Silenzio rotto solo dal tintinnare dei suoi orecchini. Con gli occhi mi riempivo di lei, cercavo di assorbirla, di risucchiarla. Avevo paura. Per altri quindici giorni non l’avrei più rivista e non potevo correre il rischio di dimenticarla.
Vadano a farsi fottere le strategie di prevenzione, le malattie, i clienti, gli aborti. Bisogni più urgenti, nostri, avevano il diritto di essere esauditi, soddisfatti. Esistevamo solo noi due, come cani di strada ci eravamo leccati, annusati, toccati e subito riconosciuti. Capimmo d’istinto che qualcosa ci univa. Eravamo in fondo due bambine: una di fatto, data l’età, l’altra di spirito nonostante l’età.
Di colpo, così come l’avevo incontrata, la persi. Forse se ne era andata o me l’avevano portata via, rubata di nascosto. Per un lungo periodo scrutai la strada cercandola, attenta ad ogni suono o rumore: volevo ancora una volta sentire gridare il mio nome. Avrei voluto salutarla, come si salutano le amiche quando sanno che non ci sarà più la possibilità di rivedersi.

* * *

E’ il trapasso dall’estate all’autunno l’immagine che mi rimanda a lei, anche a distanza di tempo.
L’estate come incontro, gioia, calore. Colori vivi, caldi, amori grandi, inimmaginabili, fuochi accesi di passioni e ardori. Musiche di tempi remoti, suoni accattivanti che ti cullano nell’oblio dell’anima, e ti rimandano a passati mai vissuti. E poi l’autunno, ogni cosa inizia a spogliarsi ed intiepidirsi, dei fuochi dell’estate non resta che cenere. Dei suoni solo l’eco lontano, dei colori di un tempo non rimangono che fotocopie sbiadite, ingiallite. Tempo di saluti, di addii. I cuori entrano in letargo, custodendo gelosamente, per non scordarlo, il caldo dell’estate. Gli amanti si sciolgono dai loro abbracci, solo così riusciranno a mantenere vivo il fuoco dell’estate.

* * *

Così fu Manorela.


OsservatorioProstituzione

CHI, DOVE, QUANTO
Sulla strada:           albanesi, slave, africane, italiane tossicodipendenti           20/50 mila lire
Nei bassi:                italiane storiche, sudamericane, nigeriane, travestiti        50/80 mila lire
In casa
o bordelli di lusso:  italiane, travestiti (massaggiatrici, annunci relax)
                                                                                                oltre 100 mila fino a 1 milione

La prostituzione a Genova
A Genova ci sono 1000 prostitute su 150.000 potenziali clienti. Ogni prostituta fa da 5 a 8 passaggi a notte; ciò significa che ogni notte da 5 a 8 mila maschi genovesi consumano sesso a pagamento. Ogni anno a Genova vengono spesi 87 miliardi e 400 milioni nel sesso mercenario (30 000 il prezzo medio di una prestazione). Di questi soldi la maggior parte va nelle mani del racket.
Il 4 maggio 1998, nel corso del Seminario Interfacoltà organizzato dai professori Flavio Baroncelli (Filosofia Morale) e Alessandro Dal Lago (Sociologia dei processi culturali) è stata presentata una relazione intitolata "Razzismo e prostituzione", in cui si cercava di quantificare il numero delle persone che si prostituivano, in quella data, a Genova. Tali calcoli erano fondati sulle rilevazioni documentarie dell’Unità di Strada della Lila che in quattro anni aveva effettuato cento uscite notturne nell’area Corso Saffi, Lungomare Canepa, Via Sampierdarena, Corso Perrone. In ogni uscita venivano contattate circa 35 persone, 5 delle quali mai conosciute prima. Il che significava che erano state contattate almeno 500 prostitute precedentemente sconosciute accanto ad un folto numero di persone con cui le relazioni erano già consolidate. Sommando le vecchie e le nuove conoscenze e sottraendo il numero di coloro che a Genova si prostituivano solo temporaneamente (turn-over) si ritenne che almeno 300 prostitute lavorassero stabilmente in quella zona.
Alcune uscite dell’Unità di Strada nell’area della Foce confermavano numeri identici anche in quell’area ma stabiliti con calcoli approssimativi. Altre 300 persone, presumibilmente, erano coloro che si prostituivano nel centro storico di Genova. Un altro numero di persone, stavolta non quantificato, prestava la propria opera in alloggi protetti ed appartamenti del centro tramite annunci sui giornali e clientela fissa.
Tentando una somma al ribasso, le persone che si prostituivano nell’area genovese non potevano essere meno di mille.

Il Sindacato Autonomo di Polizia (SAP) ha pubblicato un dossier sulla prostituzione a Genova, intitolato "Soggetti, fenomenologie e proposte". Ne riassumiamo alcune parti.

La prostituzione albanese.
Il reclutamento delle ragazze albanesi avviene in due modi: attraverso la promessa di un lavoro in Italia, spesso da parte di uno pseudo-fidanzato; oppure attraverso il rapimento di giovani dell’entroterra albanese.
La figura del protettore prende corpo in Italia e può essere un singolo che controlla due o tre ragazze oppure un gruppo di connazionali che gestiscono un numero elevato di donne.
Il trasporto clandestino avviene sui gommoni, e la tariffa varia da 1 milione a 1 milione e mezzo a persona. Arrivate in Italia, le ragazze albanesi sono munite di documenti falsi e costrette a prostituirsi. Il luogo dove "lavorare", il numero, le modalità e la durata delle prestazioni sessuali, il corrispettivo da chiedere sono stabiliti dagli sfruttatori che controllano la situazione a distanza. I proventi della prostituzione albanese sono reinvestiti in altre attività illecite, in particolare nel traffico di stupefacenti (eroina e marijuana) e nella vendita di armi. I protettori hanno dato vita a forme di organizzazioni criminali, spesso collegate fra diverse città del Centro-Nord Italia. Negli ultimi tre anni si è anche osservato il rapimento di prostitute albanesi per obbligarle a lavorare in altre città. Sono stati inoltre accertati contatti fra la criminalità italiana, spesso mafiosa e le organizzazioni albanesi.

La prostituzione italiana.
Negli ultimi anni la prostituzione di donne italiane è cambiata radicalmente in seguito alla concorrenza di quella straniera.
E’ cresciuta la prostituzione d’alto bordo, così come sono aumentati gli incontri in appartamenti e monolocali cittadini, in particolare nella cosiddetta ‘zona del quadrilatero’ della Foce, a cui si rivolgono principalmente i colletti bianchi. In espansione anche la prostituzione occasionale di italiane che lavorano in locali notturni, in cui spesso i gestori partecipano agli utili.
Un caso particolare è quello delle italiane tossicodipendenti che battono in strada, praticano prezzi bassi e spesso, su richiesta del cliente, non usano precauzioni.
I rapporti sono consumati in macchina o in hotel. Le zone sono i vicoli del centro storico, corso Quadrio e Lungomare Canepa.

La prostituzione slava.
La prostituzione slava, di moldave, ucraine, russe, slovacche ecc. è gestita da consolidate organizzazioni criminali che si occupano di ogni aspetto del loro ingresso clandestino e delle modalità con cui dovranno lavorare. Pare che il trattamento riservato alle ragazze non sia particolarmente duro, anche perché molte di loro sono incanalate nel circuito della prostituzione di alto bordo.

La prostituzione africana.

Diverso il discorso per le africane. Dopo essere state convinte, con l’inganno, a venire in Italia, sono private del passaporto e il prezzo per riottenerlo si aggira intorno ai 75 milioni. Le ragazze sono affidate a una madam (una prostituta più anziana che partecipa agli utili dell’organizzazione) e pesantemente minacciate o picchiate.
In Nigeria operano organizzazioni che reclutano le ragazze più povere. Le stesse organizzazioni provvedono allo smistamento delle giovani nei vari paesi europei. Talvolta si verificano vere e proprie aste tra le madam e gli sfruttatori nigeriani per acquistare una ragazza.
La pressione sulle ragazze viene fatta attraverso la violenza fisica e psicologica (per esempio, i riti voo-doo) e la minaccia di punire i familiari nei paesi d’origine.

La prostituzione sudamericana.

Mostra particolari caratteristiche: le donne, che sono state attratte dalla promessa di un lavoro come domestica o assistente agli anziani, riescono a uscire dal giro più facilmente; inoltre l’organizzazione di questo tipo di prostituzione sembra essere meno violenta, oltre che lasciare alle donne la possibilità di inviare somme di denaro alle famiglie d’origine.

La prostituzione trans.

Un caso a parte è quello della prostituzione di travestiti e transessuali; non risulta che verso di loro sia esercitato alcun tipo di sfruttamento. Sono lavoratori autonomi.

Il C.N.C.A. informazioni, bollettino del Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza, ha pubblicato un servizio su "Le nuove schiave d’Europa", a cura di Vincenzo Castelli, N 8/9 Anno 1998, di cui riportiamo un brano.

Uno dei paesi oggi maggiormente interessati al fenomeno [della tratta di donne, n. d. r. ] è l’Ucraina, dove le donne sono spesso "reclutate" attraverso annunci nei giornali in cui non meglio identificate "Agenzie" ricercano modelle, ballerine o cameriere. Spesso le più ingenue abboccano, quindi con la violenza sono obbligate a prostituirsi nei paesi di destinazione. Per quanto riguarda l’Italia, possiamo dire che proprio la tratta di ragazze ucraine rappresenta l’ultima generazione di arrivi di donne "trafficate". (…) L’ingresso di ragazze ucraine ha modificato il flusso di presenza su strada di prostitute (per la loro bellezza "proverbiale", la capacità di costruire la propria immagine-look, la loro cultura…) determinando un abbassamento (o addirittura retrocessione) di interesse da parte dei clienti verso ragazze nigeriane ed albanesi, e con effetti di "trascinamento prostitutivo" al di là della strada (per consumare il rapporto in appartamento, per andare in discoteca con il cliente ecc). (…) Questo spiega anche perché hotels, agenzie turistiche, mediatori della notte (tutti rigidamente made in Italy), sono spuntati fuori, tutto d’un tratto, nella possibilità di sfruttare tale appetitoso mercato del sesso.



Sotto la lente Casanostra

Casanostra è una casa alloggio per persone di sesso maschile affette da AIDS conclamato, aperta più di quattro anni fa per iniziativa della Caritas-Fondazione Auxilium, la proprietaria, in convenzione con la Regione.
L’edificio è in ottime condizioni, con locali ampi e luminosi, distribuiti su tre piani, in una posizione panoramica e appartata, circondata da un parco.
Il numero dei posti è limitato (4 camere doppie ed una singola); ciò nasce dal progetto di offrire agli ospiti un ambiente il più possibile familiare.
Numerose sono le figure professionali che gravitano intorno alla struttura: una coordinatrice, sei operatori, una ventina di volontari che li affiancano e gestiscono stireria e cucina, tre infermieri, alcuni obiettori di coscienza, un infettivologo, una neurologa, un dentista, un fisioterapista, un avvocato, un maestro di yoga, uno psicologo per la supervisione di operatori e volontari e due a disposizione degli ospiti con scadenze fisse per terapia di gruppo e colloqui individuali.
A Casanostra si accede su segnalazione di un reparto ospedaliero o del Ser.T. La decisione definitiva spetta alla coordinatrice della Casa, dopo un colloquio con l’interessato. La valutazione viene fatta caso per caso, ma non sono ammessi tossicodipendenti in fase di piena attività e persone con gravi precedenti penali, tali da suscitare sospetti di recidiva.

Con quali bisogni si arriva a Casanostra?
Le persone che arrivano a Casanostra chiedono, inizialmente, il soddisfacimento di bisogni primari ed elementari. La struttura comunque non è a bassa soglia: filtra le entrate perché non intende esaurire il suo ruolo nel semplice soddisfacimento di questi bisogni. Alla persona che entra viene offerto un percorso e uno stile di vita con cui confrontarsi. Per chi accetta, si profila la possibilità di un reinserimento: con i servizi pubblici si concordano progetti, che spesso soffrono di lungaggini burocratiche.
Ma c’è anche chi non si abitua ai ritmi e alle relazioni della casa, provando fastidio e insofferenza per le regole imposte. In questi casi il destino è, prima o poi, l’allontanamento, spesso volontario: in due casi è stata la coordinatrice a prendere l’iniziativa, dopo aver provveduto ad una sistemazione provvisoria alternativa.

Cosa chiede Casanostra ai suoi ospiti in cambio della cura e dell’assistenza?
Chiede l’impegno a costruire un progetto personale che, a partire dalle capacità di ciascuno, preveda spazi di responsabilità e regole da seguire. Ognuno deve, compatibilmente con lo stato di salute, provvedere alla pulizia delle camere e delle parti comuni.
Nessuno è tenuto a pagare alcun tipo di retta, ma chi ha una rendita deve provvedere alle proprie spese personali (sigarette, mezzi di trasporto, uscite, ecc.).
E’ permesso fumare solo un pacchetto di sigarette al giorno; visite e uscite sono consentite, ma le prime devono essere controllate dalla coordinatrice e le seconde sono ammesse secondo modalità personalizzate.
E’ appannaggio della casa la gestione della cucina, dei soldi e delle cure mediche.
E’ prevista una riunione settimanale con la coordinatrice, in cui esporre problemi, soluzioni, critiche, iniziative.



Inchiestadove si mangia, come si mangia

Questa inchiesta sulle mense non pretende di essere una rassegna completa dei posti dove è possibile andare a mangiare gratuitamente; vuole piuttosto tracciare un panorama della situazione genovese; è una ricerca che va continuamente aggiornata e che proseguirà con l’analisi degli altri servizi a disposizione della gente che vive sulla strada, come, ad esempio, i luoghi dove andare a dormire.

Mercoledì 30 dicembre 1998, ore 12, via del Molo. Davanti al Massoero non c’è nessuno, nessuna coda di persone in attesa di mangiare. Per vedere qualcuno si deve entrare, salendo delle scale buie e un po’ sporche, e si arriva in un salone ancora più buio, con sedie e tavolini. Qua e là sono seduti alcuni uomini di mezza età. Alcuni stanno terminando il pranzo, apparentemente poco invitante.
"Il cibo? – ci dice una vecchietta che va lì tutti i giorni – Insomma, sempre la stessa pasta, lo stesso brodo. Così e così, ma sa… o mangi la minestra o salti dalla finestra".
Mercoledì 6 gennaio 1999, ore 18.30, Portoria. In chiesa un gruppo di italiani sopra i cinquant’anni sta aspettando l’ora di cena. E’ l’Epifania, giorno di festa, e alcuni a pranzo hanno mangiato meglio del solito.
"Come si mangia? Cosa vuole… – ci risponde un artigiano di 63 anni – ancora grazie che c’è la Chiesa; di queste cose se ne dovrebbe occupare lo Stato".
Insieme si entra in un portone sul retro della chiesa, dove un gruppo di sorridenti volontari ci accoglie e ritira dei tagliandini di prenotazione. La mensa è una saletta con panche, senza tavoli. Si mangia con il piatto (di carta) in mano. Da un pentolone viene servita una pasta fumante, al sugo; il profumo è buono.
I posti dove si può andare a mangiare gratuitamente sono gestiti, per la quasi totalità, da una rete di parrocchie e conventi. E’ un servizio reso spontaneamente dalla Chiesa e come tale non è omogeneo né nella distribuzione geografica né nel modo in cui funziona.
Vale forse la pena notare che questi posti coprono abbastanza il centro città (ma non il centro storico) e il Levante, toccano la zona di S. Fruttuoso e Oregina, mentre sono praticamente assenti nel resto di Genova (tranne alcuni nel Ponente).
Per conoscere questi luoghi bisogna ricevere il passaparola di chi già li frequenta (oppure leggere questo giornale o una guida analoga); infatti normalmente non ci sono cartelli o insegne.
La maggior parte di queste mense funziona solo per l’ora di pranzo (sempre abbastanza presto, intorno alle 12), mentre sono pochi i posti dove si può andare a mangiare la sera (anche in questo caso, si mangia presto, intorno alle 18.30).
L’unica mensa "istituzionale", la più grossa, è quella del Massoero, a Caricamento, gestita dal Comune.
Il Massoero ha 120 posti-letto e sforna 500 pasti al giorno. Questi si possono consumare sul posto oppure ritirare allo sportello. Tuttavia, per mangiare al Massoero si deve provenire dai servizi sociali o dai centri d’ascolto; chi si presenta spontaneamente deve firmare una dichiarazione in cui afferma di non avere alcun reddito e poi viene comunque indirizzato ai servizi. Non è posto per immigrati irregolari, né per chi apprezza la buona tavola.
Diversa e più appetibile è la situazione nella rete di mense gestite da parrocchie o conventi. Il cibo è sempre cucinato sul momento per un numero limitato di persone, e questo va a vantaggio della qualità.
Tra tutti, merita una segnalazione il Convento di S. Maria degli Angeli, a Quarto; il posto è piacevole, la sala accogliente e pulita, la cucina discreta. Peccato che dopo la pasta o il risotto ci siano quasi sempre dei panini. Comunque non mancano frutta e dolce. E’ solo per 12 persone, le prime che si presentano.
Simile per qualità è anche la Casa della Missione (via di Fassolo). Anche qui mangiano i primi 12 che arrivano: una pasta o minestra, un secondo con contorno, caffè e biscotti. E’ frequentato da molti musulmani e i cuochi ne tengono conto nel menù (ad esempio limitando l’uso di carne).
Il sistema del "mangia chi arriva prima" è probabilmente il più equo. In altri posti, anche per evitare affollamenti imprevisti, si tende a dare una patina di regolarità attraverso sistemi di prenotazioni e tagliandini. All’Oratorio di S. Erasmo, a Quinto, è bene prenotarsi la sera prima. Gli immigrati sono mandati al Centro servizi stranieri (via Milano 42a) che fornisce anche un tesserino. Queste forme di "regolarizzazione" permettono di segnare su un registro i nomi di chi è presente. Per altro, l’inconveniente principale di questa mensa è che si mangia all’aperto, al freddo (quando piove c’è un telone).
Accogliente e simpatica la mensa della Chiesa di S. Camillo; anche qui, vige il sistema dei tagliandini.
Per chi ha tanta fame consigliamo il Convento del Padre Santo, a Corvetto. Le porzioni sono infatti molto abbondanti, soprattutto il mercoledì (chissà perché) e la domenica. La sala in cui si mangia, non particolarmente bella, va pulita a turno dai commensali.
Molto curata è la neonata mensa di San Giuseppe Cottolengo (via Cellini), frequentata anche da un discreto numero di donne.
Da questa prima bozza di indagine emergono alcuni dati significativi.
Innanzitutto, le donne. Queste sono le grandi assenti.
Le mense sono frequentate per lo più da uomini, tant’è vero che quella di San Giuseppe Cottolengo, che era stata originariamente concepita per sole donne, ha dovuto riconvertirsi in una mensa mista. Come spiegare questa assenza? Sarà perché le donne sanno arrangiarsi meglio? O perché hanno meno fame? O perché fanno di più la fame?
In secondo luogo, bisogna dire che la qualità di queste mense e l’impegno dei volontari sono spesso pregiudicati dalla qualità non sempre elevata dei generi alimentari offerti dai privati. Se è vero che sotto le feste di Natale il menù era relativamente ricco e vario, esistono anche tempi, in cui, per usare le parole di un "utente", "la carità va in vacanza".
Infine, va segnalata la mancanza di posti dove poter andare non solo a mangiare, ma a passare del tempo; posti al chiuso, caldi, accoglienti, dove poter stare senza essere scacciati dopo mezz’ora.



Dritte & Diritti
Il gratuito patrocinio a spese dello Stato

Con la legge 217/1990 è stato istituito il cosiddetto " patrocinio a spese dello stato per non abbienti".
In sostanza è prevista la possibilità, per chi è indagato o imputato o parte civile in un procedimento penale, purchè privo di reddito, (o comunque con un reddito inferiore a circa £. 11.000.000 annui, somma che viene aggiornata di tanto in tanto) di chiedere l’ammissione al patrocinio dello Stato.
In conseguenza di tale ammissione, che deve essere disposta dal Giudice, le spese per le imposte di bollo e registro, per il rilascio di copie, quelle sostenute da difensori e periti, e soprattutto gli onorari del difensore sono a carico dello Stato.

Come richiedere il patrocinio gratuito?
Occorre presentare un’istanza, che può essere presentata in ogni grado di procedimento, in particolare anche nella fase delle indagini preliminari, cioè subito dopo che si è stati denunciati, e vale per tutti i gradi successivi.

Tale istanza deve contenere i seguenti requisiti:

1) firma dell’interessato (autenticata, anche eventualmente dal difensore);
2) generalità dell’interessato e dei membri che compongono la sua famiglia anagrafica;
3) autocertificazione con la quale l’interessato dichiara di trovarsi nelle condizioni per ottenere l’ammissione al patrocinio (limiti di reddito etc.);
All’istanza devono inoltre essere allegati: 1) un certificato di stato di famiglia dell’interessato.
Tale documento è particolarmente importante, poiché si verrà ammessi al patrocinio a spese dello Stato solo se il reddito complessivo di tutti i membri della famiglia risultanti dal certificato, è inferiore agli 11.000.000.
Di conseguenza, chi per un qualsiasi motivo si trova a vivere fuori del proprio nucleo famigliare senza alcun reddito, ma risulta residente con alcuni famigliari il cui reddito complessivo supera la cifra indicata, non può essere ammesso.
Inoltre, poiché la legge prevede che il certificato dello stato di famiglia debba essere obbligatoriamente presentato per l’ammissibilità dell’istanza, non viene ammesso al patrocinio chi non è in grado di produrre tale documento, e quindi per esempio chi vive senza una fissa dimora;
2) copia dell’ultima dichiarazione dei redditi, o una dichiarazione che attesti la mancata presentazione della dichiarazione, se questa non è stata fatta, perchè non vi erano redditi da dichiarare;
3) una dichiarazione dell’interessato contenente il numero di codice fiscale, l’indicazione del reddito, la proprietà di beni immobili o mobili registrati, come per esempio automobili o moto.
Può essere chiesto un termine di scadenza per la produzione di questi documenti.
E’ importante sapere che: 1) si può chiedere l’ammissione al patrocinio solo nei procedimenti per delitti, e non per le contravvenzioni. Per esempio restano esclusi reati come la guida in stato di ebbrezza, la guida senza patente, il porto abusivo di armi, il possesso ingiustificato di chiavi alterate, ecc.
2) E’ possibile nominare un solo difensore, mentre solitamente possono essere due.
3) Se in seguito emerge che colui che ne ha fatto richiesta, non era in possesso dei titoli per essere ammessa al patrocinio a spese dello Stato, oltre le eventuali responsabilità penali per false dichiarazioni, lo Stato procede a recuperare la somma spesa a danno dell’interessato.
Per concludere, è consigliabile, ove si ritenga di essere in possesso di requisiti indicati, rivolgersi a un difensore tempestivamente per verificare se è possibile ottenere l’ammissione, attivandosi nel caso per procurare i documenti richiesti.


DOMANDE E RISPOSTE
Denuncia sulla situazione sanitaria nel carcere di Marassi

In seguito al decesso, avvenuto il 27 gennaio 1999, di un ricoverato all’interno del Carcere di Marassi, i detenuti del Centro di Trattamento Terapeutico hanno scritto una lettera di denuncia delle scarse condizioni igieniche presenti nel Centro stesso.
Sono state evidenziate tre richieste differenti, che riguardano il rispetto delle norme igieniche basilari all’interno del reparto, l’accessibilità ai farmaci e quindi la possibilità di essere curati, ed infine la richiesta di personale qualificato. Ne riportiamo il contenuto.
All’interno del Centro di Trattamento Terapeutico e specialmente nelle celle e nella cucina, i detenuti, anche con gravi deficienze immunitarie, sono costretti a vivere in un ambiente con scarse condizioni igienico-sanitarie. Il problema é stato più volte segnalato alla direzione del carcere, senza che la situazione sia cambiata.
Denunciano inoltre la difficoltà di poter ricevere adeguate cure, tanto che alcuni detenuti sono arrivati ad un livello di immunodeficienza zero, e, nonostante ciò, sono stati reputati compatibili con il regime carcerario.
Infine, si rileva la mancanza di personale qualificato all’interno del Centro di Trattamento stesso.
La lettera di denuncia è stata firmata da diciassette detenuti.
L’esposto è stato inviato via fax presso l’Anlaids di Roma, che ne ha fatto avere una copia alla sua sede di Genova, alla L.I.L.A. (Lega Italiana Lotta all’Aids), ad al Ministero di Grazia e Giustizia.

La situazione, così come è stata riportata dalla stampa cittadina:
All’interno del carcere, l’infettivologa è presente soltanto per tre ore al giorno, e la guardia medica per sei ore, in un reparto dove vivono 75 persone, di cui 25 al terzo piano, da dove proviene la lettera di denuncia. Alcune di queste persone presentano situazioni di grave deficienza immunitaria. Difatti, non essendo ancora approvata la nuova legge sull’incompatibilità fra il regime carcerario ed HIV, all’interno del carcere vivono delle persone con un numero di linfociti di gran lunga inferiore ai 100.
Il carcere di Marassi inoltre ospita circa 750 detenuti, quando ne erano stati previsti 460. Di questi, oltre il 60 per cento hanno commesso reati legati agli stupefacenti, e più di 300 sono tossicodipendenti.

Il Ministero di Grazia e Giustizia
Il sottosegretario alla Giustizia Corleone ha visitato il carcere di Genova l’11 febbraio, denunciando anche lui la grave situazione all’interno della divisione Clinica - più di nome che di fatto - dove, oltre ad una scarsa igiene, alla mancanza di letti, alla sporcizia generale che vi regna, si accompagnano le ben più gravi mancanze di farmaci e di personale addetto.
L’onorevole Corleone, al termine della visita, si è addirittura detto "schifato" delle condizioni igienico-sanitarie del reparto. Sta proseguendo la sua visita nelle carceri del Nord Italia ed aspetta per lunedì 14 febbraio la relazione della direzione del carcere sulle condizioni igienico-sanitarie. Ritiene infatti necessaria un’azione in tempi brevi, da definire in collaborazione con le forze che operano nel carcere, che sarà definita non appena ricevuta la relazione.

Il Consiglio Regionale

A seguito della manifestazione organizzata a settembre da varie associazioni genovesi, in collaborazione con alcuni consiglieri regionali, è stata attivata con un pesante ritardo la commissione ad hoc sulla situazione delle carceri, prevista per legge.
La sua prima riunione operativa si è effettuata il 22 gennaio 1999 per preparare il piano programmatico di intervento. Rientrano nella specifica competenza della Regione i problemi sanitari all’interno del carcere. Pare che si voglia affrontare prioritariamente la situazione delle persone in Aids conclamato, nonché quella di molti extracomunitari che stanno in carcere e che non hanno alcuna copertura sanitaria.



BLOCK NOTES

L’inganno Droga
Venerdì 26 Febbraio alle ore 17.30presso la sala chiamata del Porto Dario Fo e Franca Rame presenteranno il libro "L’INGANNO DROGA" di Andrea Gallo, edito dalla Cooperativa ‘Sensibili alle foglie’ di Roma. La presentazione del libro sarà preceduta dalla proiezione del film "ULTIMO TRENO" di Gianfranco Miglio"

NESSUNO UGUALE Adolescenti ed omosessualità
Venerdì 26 Febbraio alle ore 16 presso l’Aula Magna del Liceo "Cassini", in Via Galata 34, verrà proiettato il film "NESSUNO UGUALE. Adolescenti ed omosessualità". Seguirà alle 17.30 il dibattito in cui interverranno il regista e sceneggiatore Claudio Cipelletti e Roberto Del Favero, consulente del film.
L’incontro è stato realizzato con la collaborazione del Centro Giovani Ambito 5 e della U.S.L. 3 Genovese.

Cannabis Sativa
Sabato 20 e Domenica 21 Marzo nell’area antistante il Centro Sociale Occupato Autogestito Terra di Nessuno, in via Bianco al Lagaccio, verranno seminati e coltivati più di 200 metri quadri di Cannabis Sativa, i cui semi sono stati precedentemente testati dalla Questura di Genova e ritenuti a norma con le direttive CEE.
La due "giorni per la riappropriazione della cultura della canapa" è organizzata dal C.S.O.A. Terra di Nessuno con la collaborazione della Associazione Comunità San Benedetto.



Colophon

anno due - numero due - febbraio 1999 - distribuzione gratuita
Rivista mensile di carattere socio-culturale - A cura dell’Associazione Comunità San Benedetto al Porto - Via S. Benedetto, 12 - 16129 GENOVA - tel. 010267877 - fax 0102464543 - Autorizzazione del Tribunale di Genova n° 32/98 del 24-11-1998 - Redazione: Via Amba Alagi 6/8r - 16129 GENOVA - tel & fax 0102461290 - e-mail: [email protected] - Direttore responsabile: Francesco Pivetta - Caporedattore: Claudio Costantini - Hanno collaborato a questo numero: Hassan Assaad, Maria Cecilia Averame, Roberto Boca, Carola Frediani, Marco Lombardo, Elvira Malfatto, Massimiliano Olivieri, Gabriella Paganini, Liana Prezioso, Bruno Satta - Gli articoli possono essere riprodotti citando la fonte - Il progetto dell’Associazione San Benedetto al Porto, in collaborazione con il Ser.T. 3 genovese e la L.I.L.A., è finanziato dal Fondo Regionale lotta alla droga della Regione Liguria (delibera della Giunta n° 740 del 27.03.1998) - Tiratura: 2500 copie Stampato presso: Coop. Soc. La Lanterna - TipoLitografia.