Nel momento in cui sospendi l’uso di una
sostanza, che per anni, malgrado sbattimenti e dolori, ti ha dato anche
illusoriamente la forza di stare al mondo, avverti un vuoto che è
interiore, ma va ad estendersi e manifestarsi anche nel tuo essere corpo
in mezzo alla gente. Un disagio profondo, una sensazione di "nudità",
è l’immagine di un guerriero che nell’ultima battaglia ha perduto
scudo ed armatura, utili strumenti per difendersi sul campo. La strada,
per tanti, è campo di battaglia.
Allora cade la tua immagine e ciò
che resta spesso è un forte carico di sensi di colpa, una storia
da portare quasi come una croce e per il mondo resti solo un corpo da "redimere".
Entra in scena il recupero con il sano
obbiettivo di guarirti, ripulirti da ogni macchia e restituirti integrato
e "come nuovo" a quella stessa società che precedentemente e magari
inconsciamente avevi rifiutato.
In generale, questa idea di "recupero"
pervade le pratiche delle varie comunità. Spesso le comunità
rischiano di creare lo stesso modello emarginante della società,
poiché dove esiste violenza fisica o psicologica, coercizione e
colpevolizzazione non può esserci spazio per la crescita interiore
e il corpo, penalizzato da tutto ciò, non può che divenire
corpo di altri.
In questo cammino di redenzione, il corpo
diventa espressione di corpi altrui, al quale viene negata la propria integrità
ed appartenenza. Se si pensa al tossicodipendente come corpo da redimere
e da restituire pulito al mondo, si nega a questo corpo la dignità
della propria storia. Ed il nostro mondo, in tema di dignità calpestate,
la sa lunga......
Ingresso
in comunità: qual’è
il percorso
DisSERTando-
a cura del SER.T. - Usl 3 Ambito 2
L’inserimento in comunità di un nostro
cliente è sempre un momento delicato, che mette gli operatori di
fronte alla necessità di compiere una serie di valutazioni miranti
a ricercare la motivazione effettiva del cliente rispetto al percorso riabilitativo
proposto dalla Comunità Terapeutica.
Il primo punto del problema che ci troviamo
ad affrontare è quindi il seguente: la volontà del cliente
che esprime il desiderio di entrare in una struttura comunitaria è
realmente sincera, in altre parole il cliente è davvero nella condizione
di rompere il continuum consumo-astinenza che fino a quel momento non ha
portato a particolari cambiamenti nel suo stile di vita?
Gli operatori del Servizio pubblico hanno,
in questi ultimi anni, modificato il loro operato, intervenendo attivamente
nella valutazione e condividendo con il cliente la sua scelta.
Tutto ciò perché il percorso
comunitario rimane un percorso che, a nostro giudizio, deve potenziare
i livelli di cambiamento della persona e deve agevolare quei percorsi di
crescita personale, attivando possibilmente anche risorse del mondo interno
della persona. La preparazione all’ingresso diventa pertanto un momento
cruciale di tutta la vicenda. La procedura di inserimento comunitario,
quando possibile, viene avviata da figure specifiche quali lo psicologo
e l’assistente sociale i quali da una parte hanno la funzione di decodificare
la domanda portata e dall’altra di conoscere più dettagliatamente
la "risorsa comunità" nei loro specifici programmi residenziali.
Le Comunità infatti non sono tutte
uguali: esse presentano programmi differenziati e tendenzialmente, in questi
anni, come si dice in gergo, hanno "abbassato la soglia."
La capacità di includere soggetti
difficili e a volte con disturbi psichiatrici rende il panorama ulteriormente
differenziato e costringe gli operatori ad analisi ancora più approfondite,
sia per quanto riguarda le diagnosi che le motivazioni del cliente.
In sostanza, le domande che ci vengono
poste ci costringono ad individuare quel tipo particolare di comunità
che per quel particolare utente può essere utile.
L’ultimo punto riguarda l’andamento del
percorso comunitario ed infine la dimissione: il cliente inserito nella
struttura, continua ad essere considerato, sebbene in modo diverso, un
paziente ancora in carico al Servizio. Infatti, anche a percorso avviato
solitamente strutture pubbliche e private collaborano e gli operatori di
riferimento di quel cliente effettuano visite alla comunità.
Lo scopo è di seguire l’andamento
del percorso riabilitativo e di fornire se necessario consulenze psicologiche
o mediche e programmare interventi socio-assistenziali. Le dimissioni del
cliente dalla comunità vengono, come è corretto, concordate
e programmate con il Servizio che ha il compito di collaborare con gli
operatori comunitari per il graduale e spesso difficile reinserimento del
cliente nel tessuto sociale lavorativo e familiare. Quando ciò non
avviene le possibilità di riuscita del percorso riabilitativo si
riducono notevolmente.
Voci
della strada Corpi
spenti?
Betty, un transessuale, era stata accettata
in una comunità religiosa. Grandissima accoglienza. Né Betty,
né Ivan, solo Gioia. Gioia del Signore. A Betty era stato spiegato
che, per uscire dal suo problema di tossicodipendenza, era essenziale scoprire
l’amore e l’importanza di darsi agli altri attraverso il volontariato e
il servizio. Fin qui tutto bene: a lei piaceva questa idea di potersi dedicare
anche ai problemi degli altri.
Ma tutto questo a quale condizione? La
modifica del proprio corpo. Ovvero le venne spiegato che Dio non fa sgorbi,
perciò per essere accettata dal "regno dei cieli" e dalla società
terrena doveva assumere le sembianze originarie, in questo caso ritornare
maschio. Tagliarsi i capelli, farsi la barba con le lamette, indossare
capi ampi per non far risaltare forme ottenute con grande fatica, cambiare
camminata e riuscire così a diventare un uomo nuovo.
Betty, all’inizio accettata come donna
ed avviata ai lavori di pulizia e cucina, venne indirizzata ad altri lavori
maschili. Tra gli obbiettivi da perseguire uno era la castità: nel
corpo e nell'anima.
Un anno e mezzo trascorso indossando una
maschera...
***
Esiste una comunità dove è
possibile fare l’amore, ma ad una condizione: la coppia - etero od omo,
lì sono molto disinvolti - deve chiedere ad un responsabile, il
quale può dare una risposta affermativa o negativa, il permesso
di poter trascorrere la serata insieme. In caso di risposta affermativa
ti viene consegnato il profilattico e sei vuoi consumare l’atto lo puoi
fare nelle stanze insieme ai tuoi conviventi, in un camerone con altre
5 o 6 persone.
Questo in nome della fierezza del proprio
corpo che non ha bisogno di nascondersi per compiere i suoi atti sessuali.
In questa comunità le punizioni
funzionano come mezzo terapeutico, ma sono punizioni di tipo riflessivo.
Sei una persona particolarmente legata
alla tua immagine? Trascorrerai il tempo con uno specchio in mano, in mezzo
agli altri, a ripetere "come sono bella".
Sei un tipo poco puntuale? Dal punto più
alto della casa ripeterai per tutto il giorno "sono le 7 e un minuto, sono
le 7 e due minuti, sono le 8 e un minuto..."
Sei poco paziente? Raccoglierai le foglie
nelle giornate di vento...
Storie
Urbane Le luci di
Giulia
Giulia era entrata in una comunità
terapeutica pressata da un ricatto familiare: "o vai in quella comunità
o ti scordi tuo figlio".
Una decisione che non poteva essere rimandata,
per cui entrò in comunità in piena astinenza. In questa comunità
non venivano somministrati farmaci né per questa specifica situazione,
né per un semplice mal di denti.
L’entrata era stata preceduta da tre colloqui.
Incontrò gente molto gentile ma nessuno le spiegò nulla di
ciò che avrebbe fatto nella comunità. L’accoglienza fu calorosa
con un applauso e un " benvenuta", preceduta da una accurata perquisizione.
Entrò a far parte di uno dei tre
gruppi della comunità, che non potevano comunicare fra loro, benché
le persone facessero vita comune.
Un giorno Giulia sentì urlare, durante
una riunione, in uno di questi gruppi, e chiese spiegazioni. Silenzio.
Col tempo scoprì che era abbastanza usuale sentire i cosiddetti
"richiami" (tossico di merda, sei uno stronzo etc.).
Questo faceva parte del "metodo" di cancellazione
della personalità tossica.
In quella comunità c’era una fase
chiamata "intervista" dove venivano fatte domande sulla tua vita. Il fine
era che dovevi riuscire a dire prima sottovoce a te stesso e poi urlandolo
all’équipe "sono un tossico di merda".
Essere donna in una realtà di questo
tipo è molto difficile poiché il pensiero lì dominante
è che in ogni tuo gesto usi la tua immagine in modo seduttivo per
ottenere quello che vuoi. In una situazione così, Giulia cercò
di imbruttirsi a tal punto da soffocare la sua femminilità che veniva
considerata come qualcosa di demoniaco. Lo faceva per non perdere suo figlio.
Entrò così in una dimensione
di poca trasparenza, nel senso che per sopravvivere doveva fingere che
tutto andasse bene e soprattutto non doveva dire mai quello che pensava.
Se qualcuno se ne accorgeva, passava le sue giornate a pulire lampadari
che erano il simbolo dichiarato della luce e della chiarezza.
Un altro metodo usato per "crescere" era
la compilazione del "foglio colpe" che consisteva in una confessione delle
tue mancanze quotidiane, tipo mangiare fuori pasto, vedere qualcuno che
butta una sigaretta per terra e fare finta di niente... Le regole principali
erano niente droga, niente sesso, niente violenza, niente alcool. Non erano
ammessi nemmeno torte o cioccolatini al liquore.
Giulia doveva incontrare il figlio dopo
un mese.
Allo scadere di quattro mesi, senza nessuna
spiegazione, non l’aveva ancora visto.
Allora chiese indietro i suoi documenti
e se ne andò.
Osservatorio
comunità: chi
sono, come sono, dove sono
Abbiamo chiesto alle comunità iscritte all’Albo Regionale di presentare brevemente i propri metodi di lavoro. A un funzionario della Regione abbiamo chiesto quali criteri presiedono all’iscrizione delle comunità all’Albo.
Il funzionario della Regione
Le comunità, per essere accreditate,
devono essere iscritte all’Albo Regionale, disciplinato dall’atto d’intesa
fra Stato e Regioni ai sensi del D.M.S. del 19/2/93.
La legge aveva distinto due tipi di comunità:
pedagogico-riabilitativa e terapeutico-riabilitativa.
In Liguria ci sono solo comunità
terapeutico-riabilitative, residenziali e/o semiresidenziali.
I criteri per l’iscrizione all’Albo sono
di tipo funzionale, organizzativo e relativi al personale, e sono stabiliti
dall’atto d’intesa Stato-Regioni del 1993.
I controlli, sono demandati al territorio
e s’inseriscono in un quadro di reciproca collaborazione e fiducia.
E’ per altro in corso un progetto di valutazione
di qualità dei servizi che prevede il confronto tra pubblico e privato,
e seminari con Ser.T, comunità e Regione.
Le comunità
C.G.S.
Il trattamento di recupero del CGS è
ispirato a un programma ben determinato, il "Progetto Uomo"; un programma
personalizzato che rispetto ad altre comunità, il cui strumento
progettuale è il lavoro, si concentra sulla persona e i suoi rapporti
famigliari.
È un programma ben definito, distinto
in più fasi di circa tre anni. Gli operatori sono formati attraverso
corsi della Federazione Italiana Comunità Terapeutiche. Il CGS ritiene
che la formazione sia un elemento base del rapporto con le persone, insieme
all’indispensabile sentimento di solidarietà. Per Bianca Costa (Presidente
del CGS) l’operatore deve essere innanzitutto un volontario.
A.F.E.T.
Affronta il tema della tossicodipendenza
con particolare riferimento agli ambiti della prevenzione al disagio e
alle dipendenze, dell’accoglienza dei soggetti tossicodipendenti e delle
loro famiglie, del reinserimento sociale e lavorativo e della creazione
di imprese sociali per soggetti svantaggiati.
Negli ultimi anni ha affrontato il lavoro
sulla riduzione del danno proseguendo il percorso già avviato con
la filosofia di intervento basata sulla centralità e la valorizzazione
della persona.
QUADRIFOGLIO
E’ una comunità laica, mista. I
progetti sono personalizzati e vanno incontro alle specificità di
ciascuno. La durata del progetto varia da 18 a 24 mesi, ma è anch’essa
adattata alle esigenze del singolo. La comunità è orientata
verso il reinserimento degli utenti e a questo scopo ha creato una cooperativa
dove possono lavorare. Secondo gli operatori della comunità la tossicodipendenza
va affrontata nel quadro più generale del disagio sociale.
LA FATTORIA
Segue l’orientamento sistemico-relazionale
del Centro milanese di terapia della famiglia di Boscolo e Cecchin (Milan
approach). I loro operatori provengono dal Centro, dopo un tirocinio nel
Ser.T; si avvalgono inoltre di uno psicoterapeuta dello stesso Centro.
Ritengono che non esista un uomo isolato
dal contesto relazionale, per cui si deve lavorare sui sistemi che interagiscono
con l’individuo.
SAN
BENEDETTO
La sua filosofia è di offrire una
proposta di emancipazione da ogni forma di dipendenza, all’interno di una
partecipazione e di un confronto critici con il sociale e con il politico.
L’idea è che l’utente deve mettersi
in gioco, passando da un’ottica individualista ad una comunitaria, da pedina
passiva a protagonista. Gli strumenti per questo sono l’informazione, il
lavoro in una dimensione umana e di autogestione, i rapporti e gli scambi
personali, la condivisione delle risorse.
VILLAGGIO
DEL RAGAZZO
In questa comunità si cerca di far
sì che l’utente mantenga i contatti con il territorio di provenienza
e la famiglia. Dopo una prima fase di comunità a tempo pieno l’attività
prosegue in un centro diurno.
Non c’è un’idea che precede l’utente,
spiega un operatore; si costruisce un progetto misurato sulla "taglia"
di ognuno, all’interno del quadro terapeutico. Si avvalgono di educatori
e psicologi professionali.
Evoluzione della tossicodipendenza. Due voci
Bianca Costa (Presidente
del Centro Solidarietà di Genova e della Federazione Italiana Comunità
Terapeutiche)
"La nostra idea è di anticipare
le risposte ai nuovi bisogni della tossicodipen-denza. Negli ultimi anni
c’è stata una normalizzazione nell’uso della droga; c’è un
tipo di eroinomane difficile da agganciare, perché gli stessi genitori
cercano aiuto solo quando è gravissimo. Inoltre ci sono tipologie
diverse: i detenuti, i malati di Aids, i border line, per cui stiamo studiando
nuove forme di intervento, tra cui l’apertura di una comunità a
doppia diagnosi (tossicodipendenza – disturbi psichici). Il nostro obiettivo
è di lavorare sempre con le famiglie; abbiamo organizzato anche
gruppi di genitori con figli che fanno uso di droghe leggere".
Fabio Scaltritti (responsabile
della comunità di San Benedetto al Porto)
"Per tentare di spiegare come sono cambiati
i tossicodipendenti in questi ultimi anni – spiega Fabio Scaltritti - bisognerebbe
spiegare come è cambiato il contesto sociale. Dal nostro osservatorio,
tuttavia, possiamo dire che si è riscontrata una minore presenza,
in percentuale, delle persone sieropositive. Nel contempo si è registrato
un aumento dei disturbi psichiatrici.
Oggi, per chi entra in comunità,
è meno forte l’istanza di cambiamento rispetto ad alcuni anni fa.
Si viene in comunità spinti da bisogni concreti, dalla vita di strada,
e più che di cambiamento c’è una domanda di integrazione.
Un’altra caratteristica del tossicodipendente
di oggi è il fatto di essere ormai un poliassuntore: si dipende
da più sostanze. A ciò si aggiunge la questione dell’alcool,
vissuto sempre di più come una sostanza d’abuso.
E’ difficile stabilire un "tasso di successo"
nel recupero dei tossicodipendenti; dipende dagli obiettivi che ci si pone.
In generale, il numero di quelli che smettono definitivamente, sia che
entrino in comunità, sia che usino altri programmi terapeutici,
si aggira intorno al 20-30 %".
Comunità presenti sul territorio della Provincia di Genova, iscritte all’Albo Regionale degli Enti Ausiliari per le tossicodipendenze (ai sensi del D.M.S. 19/2/1993)
Associazione Comunità S.BENEDETTO
AL PORTO
Via S. Benedetto 12, Genova, tel. 010 267877
sedi operative:
- via San Benedetto – 10 posti residenziali;
5 posti semiresidenziali
- comunità "A.Canepa"- via Gallino
11, Mignanego - 10 posti residenziali; 2 posti semiresidenziali
CENTRO DI SOLIDARIETA’
Via Asilo Garbarino 9b, Genova, tel. 010
582474
sedi operative:
- via Asilo Garbarino - 14 posti residenziali;
55 posti semiresidenziali
- Salita Cà dei Trenta 28 - 70 posti
residenziali
A.F.E.T.
Via Sampierdarena 34/7, Genova, tel. 010
419287
sede operativa:
"L’Aquilone"- via Bruno Buozzi 19a/6 –
20 posti semiresidenziali
Associazione QUADRIFOGLIO
Via delle Vigne 5/9, Genova, tel. 010 6444796
sede operativa:
- via Braghina 1, Isola del Cantone - 30
posti residenziali
Cooperativa agricola sociale LA FATTORIA
Via Casareggio 160, Orero (GE), tel. 0185
334178
sede operativa:
- via Casareggio 152 e 160, Orero - 15
posti residenziali
Opera Diocesana Madonna dei Bambini VILLAGGIO
DEL RAGAZZO
Palazzo Vescovile - Piazza N.S. dell’Orto,
Chiavari, tel. 0185 3751
sedi operative:
"Centro Costa-Zenoglio", Castiglione Chiavarese,
con annessa "Casa Famiglia"- 17 posti residenziali; 11 posti semiresidenziali
Associazione ARCADIA
Corso Sardegna 231r, Genova, tel. 010 2465041
sede operativa:
- via S. Maria di Castello 33/3 – 8 posti
semiresidenziali
L’Associazione San Marcellino è opera
dei Gesuiti. Nasce nel 1945 in Sottoripa, nel cuore del centro storico
genovese, per iniziativa di padre Paolo Lampedosa, desideroso di rispondere
ai bisogni e di lenire le sofferenze di una città provata dalla
guerra.
Nei decenni successivi l’attività
dell’Associazione si distingue per l’attenzione alle nuove povertà
legate, negli anni ’60, al fenomeno dell’immigrazione dal sud e, a partire
dagli anni ’80, all’aumento dell’emarginazione segnata da droga, prostituzione,
alcolismo, che trova nel centro storico il suo ghetto.
Da una decina d’anni è stata individuata
con maggiore precisione la fascia di popolazione cittadina a cui indirizzare
un progetto di accoglienza: si tratta delle Persone Senza Dimora, presenti
in numero sempre maggiore nelle strade delle grandi città. Questa
definizione non è da intendersi in senso letterale; indica infatti
chi ha problemi non soltanto di alloggio, ma di salute, di lavoro, di povertà
estrema, di dipendenza da sostanze (soprattutto alcool nel 70% dei casi),
di sradicamento dal territorio, insomma di mancanza di relazioni sociali
e affettive.
L’idea di partenza era di costituirsi come
struttura a bassa soglia, ma, a causa delle gravi difficoltà incontrate,
si è ridefinita la prospettiva e attualmente si procede ad una sorta
di selezione: non sono accolti gli immigrati stranieri, né regolari
né irregolari, non le donne (pochissime peraltro le richieste femminili,
indirizzate alle suore di vico Untoria), non le persone tossicodipendenti,
inviate ai Ser.T.
La prima risposta ai bisogni è fornire
i servizi che possano soddisfarli, ma il progetto è più ambizioso:
funzionare da mediazione tra la società e gli esclusi, ricucire
lacerazioni, stimolare, pur nel rispetto dei tempi individuali, percorsi
riabilitativi in vista di un futuro reinserimento.
Il funzionamento della struttura è
abbastanza articolato. Per una prima risposta al disagio esiste un Centro
di Ascolto, uno dei servizi più antichi dell’Associazione. E’ aperto
quattro mattine la settimana e ne è responsabile uno psichiatra,
in qualità di collaboratore esterno. Qui obiettori di coscienza
e volontari accolgono le persone e procedono ad un primo smistamento in
base alle diverse richieste (vengono ad esempio consegnati buoni pasto,
buoni doccia, ecc.). Cinque operatori procedono invece ai colloqui, dopo
i quali le persone accolte vengono inviate ai dormitori. L’Angolo e il
Gradino sono i due centri adibiti all’accoglienza notturna di primo livello:
complessivamente i posti letto sono ventotto, quattro dei quali riservati
all’Auxilium Caritas. Sono aperti dalle 19,30 alle 7,30 ed è previsto
un colloquio settimanale con un operatore, una sorta di tutor con
cui intraprendere un progetto di riabilitazione personalizzato. Chi supera
positivamente il primo livello del percorso può accedere alla comunità
di riabilitazione, il Boschetto, in cui si può rimanere anche cinque
o sei anni. Qui gli ospiti partecipano alla gestione occupandosi delle
pulizie, della spesa, della cucina; nei giorni festivi la comunità
è sempre aperta, nei giorni feriali dalle diciotto alle otto, perché
durante il giorno gli ospiti lavorano o studiano. Il lavoro si svolge prevalentemente
nei cinque laboratori dell’Associazione (Pulizia, Lavanderia, Manutenzione,
Kambusa, Pelletteria), per permettere un confronto con un principio d’autorità
e con le regole proprie di un rapporto lavorativo in condizioni protette,
come base per un eventuale reinserimento.
Le principali regole da seguire in comunità
riguardano la sobrietà, la pulizia personale, il rispetto degli
orari, il versamento di una cifra simbolica di trentamila lire mensili;
inoltre per ogni decisione o iniziativa l’ospite deve preventivamente accordarsi
con il suo operatore di riferimento.
Dal giugno ’98 è stata aperta una
comunità, il Ponte, che può ospitare fino ad otto persone
ed è concepita come una struttura intermedia per chi, dopo un percorso
riabilitativo, non sia ancora in grado di condurre una vita totalmente
autonoma e, al tempo stesso, viva come troppo costrittive le regole della
comunità riabilitativa. Le camere sono singole, la cucina in comune;
è obbligatorio vivere insieme un momento giornaliero (la cena) e
partecipare ad una riunione la settimana per organizzare la vita domestica,
a cui ognuno è tenuto a contribuire in base alle proprie attitudini.
Il responsabile è un operatore, con cui collaborano un obiettore
e una decina di volontari che coprono anche le notti.
Esistono infine alloggi assistiti in grado
di accogliere circa venticinque persone su progetti concordati con gli
enti pubblici. L’organico presente complessivamente nella struttura è
composto da sette operatori dipendenti, uno part-time, cinque collaboratori
esterni e un numero di volontari che oscilla tra i duecentocinquanta e
i quattrocento; il 30% del bilancio è coperto da una convenzione
con il Comune, il resto da offerte.
La comunità vista da chi c’è o c’è stato: operatori e utenti. Abbiamo incontrato due operatrici a cui abbiamo chiesto di spiegare in poche parole le relazioni fra la comunità e i tossicodipendenti che vi arrivano. Poi abbiamo incontrato alcune persone che hanno alle spalle diverse esperienze di strada e di comunità. Tutti i nomi sono stati cambiati.
Le operatrici
Gabriella
Spesso il tossicodipendente pensa che la
comunità sia qualcosa a metà tra un collegio e una clinica
rieducativa. La percepisce come un sistema di regole da seguire. Quando
però arriva nella nostra comunità resta disorientato, perché
trova uno spazio dove può intervenire, immettendosi in un circuito
collettivo.
Per chi viene dalla strada è difficile
sentirsi parte di un gruppo, concepirlo come una risorsa e non come una
massa che ti annienta. La cosa più difficile è proprio superare
questa diffidenza verso l’altro. La maggioranza di quelli che entrano in
comunità le restano legati, anche se numerose sono le ricadute.
L’esperienza della comunità resta, non passa mai invano. Non è
detto che la comunità sia una risposta per tutti. Per il tossicodipendente,
ad esempio, che è inserito in un contesto lavorativo o famigliare
si devono trovare altre risposte. I Servizi Sociali dovrebbero offrire
diversi strumenti a questo proposito, molti di più di quelli che
già esistono. Per ogni persona bisogna fare un progetto personale.
Elisa
Quando uno entra in comunità la
pensa come un posto dove smettere di farsi, dove tornare a fare una vita
"normale", ritrovare rapporti umani, valori.
La comunità è una proposta
di cambiamento che a volte è difficile da accettare. Da parte di
chi riceve il tossicodipendente c’è la volontà di fargli
capire che lui vale, che la sua storia ha un valore. Tuttavia chi arriva
spesso si aspetta di ricevere solo delle indicazioni, di essere guidato
passo dopo passo. Le situazioni che hai incontrato a volte possono essere
tali da abbrutirti, da renderti difficile amare te stesso e decidere di
cambiare. I soggetti deboli sono quelli che non credono più in se
stessi; anche perché la vita in strada ti sottopone a una serie
di violenze da cui è difficile risollevarsi. Lo stimolo più
forte può allora arrivare da chi sta in comunità da più
tempo ed ha già affrontato difficoltà analoghe.
Gli utenti
Perché siete entrati in comunità? E cosa vi aspettavate?
Matteo
Quando sono entrato in una comunità,
su consiglio del Ser.T., non mi aspettavo niente. Stavo solo scappando
da una situazione insostenibile. Non ci ho neanche pensato.
Paolo
Sì, quando si va in comunità
è perché peggio di così non c’è niente. Io
ci sono andato dopo che mi avevano sbattuto fuori di casa. È l’ultima
spiaggia. È raro che sia una scelta meditata.
Sara
A me è sempre stato "imposto" di
andare in comunità; prima per mia figlia, poi per i miei genitori.
Ma a me non andava.
Matteo
L’idea è quella di un posto dove
regna il "non si può fare": un mondo di regole e proibizioni (non
puoi fumare, non puoi fare l’amore ecc.)
La comunità come sistema di regole e proibizioni. E’ realmente così?
Matteo
Dipende. Io sono finito in una comunità
abbastanza blanda, in cui il messaggio era tornare alla normalità
della vita. All’epoca ero un travestito, ma non mi hanno fatto molti problemi:
mi facevo tranquillamente la ceretta, andavo dal parrucchiere ecc. Invece,
una volta, incontro un bel ragazzo, un figaccione, ma mi sembrava di conoscerlo.
E infatti salta fuori che era un mio vecchio amico, un travestito che era
finito in un’altra comunità e adesso sembrava un vero macho.
Paolo
Nella comunità dove sono entrato
io ti toglievano progressivamente delle cose e ti davano delle regole.
Si doveva fare così e così. Senza spiegare perché.
O meglio, perché serviva. Vigeva un sistema di premi e punizioni,
di gerarchie, di passaggi progressivi. A ogni nuovo stadio tu eri l’ultimo,
dovevi ricominciare tutto da capo.
Matteo
In comunità i tuoi soldi li teneva
un responsabile; tu potevi richiederli per spese personali e riportare
lo scontrino. Però ti davano un solo pacchetto di sigarette al giorno.
Cosa vi infastidiva e cosa vi piaceva della vita in comunità?
Paolo
Non mi piaceva il fatto di essere isolati,
tagliati fuori. Ad esempio, non potevamo leggere un giornale intero. Il
giornale veniva prima vagliato e ritagliato, poi appeso in bacheca.
Matteo
Per me la cosa più difficile era
stare sempre a contatto con persone. E’ difficile vivere insieme, dividere
una stanza…
Paolo
Però è anche bello. Quando
si va a fare una gita tutti insieme, ad esempio. Una volta siamo andati
a Cogne ed era davvero come se fossimo un gruppo di amici in vacanza. Oppure
quando ci si diverte con i pochi mezzi a disposizione, un fuoco, una chitarra.
Matteo
A volte però è dura andare
d’accordo con tutti. Inoltre c’è una totale assenza di intimità,
di proprietà e vita privata. Se lasci un disco nella tua stanza
è probabile che quando torni non lo ritrovi. C’è chi l’ha
visto in cucina, chi da un’altra parte.
A volte, poi, è la stessa catena
della solidarietà a essere soffocante. Una volta mi sono isolato
a vedere un bel panorama, volevo starmene un po’ solo, pensare al fidanzato,
e subito comincia la processione del "Ma che hai? Ma stai bene? Ma perché
stai da solo?".
Sara
A me non piace che le decisioni siano prese
senza spiegazioni. Nel momento in cui stavo meglio, quando ero diventata
viceresponsabile della cucina, mi hanno cambiato di ruolo dicendo che non
dovevo adagiarmi.
Cosa pensate in generale delle comunità?
Paolo
La verità in tasca non ce l’ha nessuna.
Dipende dalle esigenze di ciascuno: c’è chi ha bisogno di essere
più guidato e chi invece vuole essere responsabilizzato. Per fortuna
ce ne sono tante e diverse. E poi tu ti aspetti che abbiano la bacchetta
magica, che ti cambino la vita con uno schiocco di dita….
Matteo
Anche perché è tipico del
tossico aspettarsi che gli altri facciano le cose per lui.
Sara
La comunità può aiutarti
ad avere una vita più ordinata, ma per smettere sei tu che lo devi
volere.
Paolo
Ti dà solo degli strumenti. Se uno
vuole davvero smettere, può farlo anche fuori. L’importante è
riuscire a capire perché ti fai.
Dritte
& Diritti
Affidamento
in prova: dal carcere alle comunità
La legge Simeone-Saraceni sull’affidamento
alle comunità modifica la precedente legge Gozzini, che prevedeva
lo stesso trattamento terapeutico, ma considerava il programma, la certificazione
oppure il lavoro e la casa come pre-requisiti per uscire. Questa modifica
ha comportato un incremento di circa il 10% delle domande. Dal carcere
vengono la maggior parte delle richieste di entrare in comunità:
il rapporto si aggira intorno alle 60 richieste dal carcere, 40 dalla strada.
Il rapporto reale degli ingressi è pressappoco di 30 dal carcere
e 70 dalla strada.
Lo stato spende per un detenuto in carcere
dalle 400 alle 550 mila lire al giorno, per il detenuto in comunità
circa 70 mila lire al giorno.
Per persone tossicodipendenti
con una condanna definitiva c’è una possibilità di evitare
il carcere.
A Maggio del 1998 è stata approvata
la legge n. 164, detta Simeone - Saraceni dal nome dei primi proponenti,
che prevede l’affidamento in prova al Centro servizi sociali per adulti
per i detenuti con sentenza definitiva, con pena o residui di pena sotto
i tre anni, se il detenuto ha una casa e un posto di lavoro, oppure con
pena o residui di pena fino a quattro anni, se il detenuto frequenta o
vuole frequentare un programma terapeutico.
La condanna deve essere definitiva, cioè
non deve esserci più la possibilità di ricorrere in Appello
o in Cassazione.
Inoltre, per quanto riguarda la pena bisogna
prendere in considerazione non gli anni indicati dalla sentenza, ma quelli
che restano da espiare, se è già stata scontata una parte
della pena.
Per richiedere l’affidamento
terapeutico sono necessari questi requisiti:
1 - Avere una pena od un residuo di pena
non superiore ai quattro anni, non importa per quale tipo di reato;
2 - Essere tossicodipendente o alcooldipendente
al momento in cui si fa l’istanza di affidamento;
3 - Avere in corso un programma terapeutico
o avere intenzione di sottoporsi al programma;
4 - Non avere goduto di questo beneficio
più di due volte.
In tale caso cosa bisogna fare?
Se è già
in corso un programma terapeutico
Dalla comunicazione dell’ordine di carcerazione,
ci sono trenta giorni per:
1 - Richiedere al proprio Ser.T. la certificazione
che attesta il tipo di programma riabilitativo che si sta seguendo, la
struttura dove si sta effettuando il programma e le modalità di
realizzazione;
2 - Presentare un’istanza al Tribunale
di Sorveglianza del luogo dove si risiede, allegando la dichiarazione del
Ser.T.;
3 - Presentarsi all’udienza di fronte al
Tribunale di Sorveglianza.
Se non è in
corso un programma terapeutico
Dalla comunicazione dell’ordine di carcerazione,
ci sono trenta giorni per:
1 - Richiedere al Ser.T. una certificazione
che attesti lo stato di dipendenza;
2 - Presentare un’istanza al Tribunale
di Sorveglianza del luogo dove si risiede, allegando la dichiarazione del
Ser.T.;
3 - Concordare con il Ser.T. o con una
comunità un programma terapeutico. In ogni caso il Ser.T. deve certificare
l’idoneità del programma concordato;
4 - Presentarsi all’udienza del Tribunale
di sorveglianza.
Se concedono l’affidamento terapeutico cosa succede?
Bisogna attenersi al "contratto terapeutico"
che si è accettato. Dalle comunità terapeutiche non è
possibile allontanarsi e se si interrompe il programma il Tribunale può
revocare il beneficio.
Inoltre, periodicamente, è necessario
incontrarsi con l’assistente sociale del Centro servizi sociali adulti.
Bisogna restare in comunità per tutta la durata della pena da scontare?
Il programma in comunità può
essere più breve della pena. In tal caso, è possibile, dietro
certificazione del Ser.T. e con l’autorizzazione del Tribunale di sorveglianza,
essere affidati al Ser.T.
DOMANDE
E RISPOSTE Overdose:
che fare?
Con voce concitata e mano disinvolta,
uno cercava di rianimare l’altro. Questa la scena che si presentava a me
e a un altro ragazzo in una piazza del centro storico. Dieci secondi per
capire che si trattava di un’overdose e telefoniamo al 118 chiedendo espressamente
l’intervento con il Narcan.
Cercando di isolare il più possibile
l’amico scatenato, abbiamo praticato il massaggio cardiaco, gli abbiamo
tenuto la bocca aperta, gli abbiamo sollevato le gambe per agevolare la
circolazione, gli abbiamo massaggiato le mani, ormai di color viola. Abbiamo
fatto la respirazione bocca a bocca. Per timore di una possibile infezione
da HIV ci siamo protetti con un fazzoletto.
Il ragazzo ha reagito tossendo, ma solo
tre Narcan sono riusciti a resuscitarlo. In un clima di scampato pericolo,
lasciamo i due amici ad architettare il nuovo ‘sbattimento’. Il soccorso
ha un’altra overdose su cui intervenire. Girava robaccia.
Abbiamo fatto bene?
Nel complesso sì.
È sempre utile richiedere tempestivamente
l’intervento di un soccorso specializzato, il 118 per esempio. È
giusta la richiesta dell’intervento con il Narcan.
L’intervento di primo soccorso è
fondamentale. Bisogna però effettuare una serie di verifiche che
servono per decidere quali azioni intraprendere.
1. Come prima
cosa, bisogna verificare se la vittima è cosciente o incosciente
chiamandola e scuotendola con delicatezza. Se la persona è incosciente,
bisogna estendere il capo dell’infortunato all’indietro (iperestensione
del capo) in modo da evitare che la lingua rilasciata ostruisca le vie
respiratorie.
2. Verificare
la presenza del respiro avvicinandosi al viso della vittima per sentire
il passaggio di aria dalla bocca e dal naso e osservare se vi sono i ritmici
movimenti respiratori del torace. Se vi è arresto respiratorio bisogna
effettuare la respirazione bocca a bocca.
3. Verificare
la presenza del battito cardiaco ricercando le pulsazioni dell’arteria
carotide a livello del collo. La rilevazione attraverso il polso è
più imprecisa. Se il battito è assente bisogna praticare
il massaggio cardiaco.
4. Se invece
la vittima è incosciente ma respira, bisogna porla in posizione
laterale di sicurezza (su un fianco, con il braccio e la gamba sotto il
corpo piegati) in attesa dell’autoambulanza.
Quanto al rischio di infezione, è
limitato alle situazioni in cui si viene a contatto con sangue o liquidi
organici, per esempio quando l’infortunato perde sangue dalla bocca. Il
rischio maggiore è rappresentato dal virus dell’epatite B e C. La
stoffa del fazzoletto non è impermeabile e lascia passare i liquidi.
È comunque consigliabile usarlo, per vincere la comprensibile ritrosia
del soccorritore.
Del resto, la respirazione può essere
effettuata anche attraverso il naso.
Le autoambulanze sono munite di tubi di
plastica che, oltre a non rendere necessario il contatto con la bocca,
permettono all’aria di non disperdersi e di penetrare meglio nei polmoni.
Sarebbe assai utile fare un monitoraggio
della roba che si spaccia, ma non ci risulta che nel territorio genovese
qualcuno se ne occupi.
Le informazioni più precise possono
averle le Unità Mobili, che distribuiscono siringhe nel Centro Storico
e che captano il passaparola dei tossicodipendenti.
Il Treno della cittadinanza
universale
Sabato 27 marzo treni verdi, liberati e
gratuiti, per partecipare ad una manifestazione per un’Europa aperta, senza
confini per le persone, contro l’esclusione sociale. È un’iniziativa
dei Centri Sociali della Carta di Milano, associazione Ya Basta.
Concorso fotografico
Sabato 27 marzo 1999 al Centro Civico Buranello
a Sampierdarena alle ore 15.00 si terrà la premiazione del concorso
"foto-grafico" per giovani e adulti intitolato "Merci varie": i nostri
consumi fra indispensabile e superfluo. Il concorso è stato
organizzato da varie associazioni genovesi all’interno del Progetto Speranza.
Oltre alla presentazione delle opere dei partecipanti, ci saranno dibattiti
e incontri informativi a tema e giochi per i più piccoli.
"Pupazzi, rabbia e
fantasia"
Dal 13 marzo al 3 aprile, presso la Loggia
della Mercanzia in Piazza Banchi, si terrà una mostra di documenti,
dipinti, pupazzi, scenografie e costumi, organizzata da Dario Fo e Franca
Rame all’interno del "Dario Fo festival". Il ricavato sarà devoluto
ad associazioni di assistenza ai disabili.
"Formula, il salone
della formazione" al Porto Antico
Presso i Magazzini del Cotone dal 20 al
24 aprile si terrà Formula, il salone della formazione. Per quest’anno
il salone è diviso in tre settori, che riguardano la categoria impiegatizia,
quella operaia e delle "nuove professioni". Fra gli organizzatori, Università
di Genova, Camera di Commercio, Regione, Agenzia per l’impiego, Comune,
Associazione Industriali, Provveditorato e Provincia. Possibilità
di simulazione di colloqui di lavoro, orientamento, servizi offerti per
i disoccupati nel territorio genovese.
Festa della Liberazione
Il 25 aprile a Frascaro la Comunità
di San Benedetto al Porto in collaborazione con la provincia di Alessandria
organizza una giornata di festa per l’anniversario della Liberazione.
Festa del Primo Maggio
a Frascaro
Come ogni anno, la Comunità di San
Benedetto al Porto dà appuntamento a Frascaro per festeggiare insieme
la festa dei lavoratori. Informazioni presso la Comunità di San
Benedetto.
anno due - numero tre - marzo 1999 - distribuzione
gratuita
Rivista mensile di carattere socio-culturale
- A cura dell’Associazione Comunità San Benedetto al Porto - Via
S. Benedetto, 12 - 16129 GENOVA - tel. 010267877 - fax 0102464543 - Autorizzazione
del Tribunale di Genova n° 32/98 del 24-11-1998 Redazione: Via
Amba Alagi 6/8r - 16129 GENOVA - tel & fax 0102461290 e-mail: [email protected]
- Direttore responsabile: Francesco Pivetta - Caporedattore:
Claudio Costantini - Hanno collaborato a questo numero: Hassan Assaad,
Maria Cecilia Averame, Roberto Boca, Carola Frediani, Marco Lombardo, Elvira
Malfatto, Massimiliano Olivieri, Gabriella Paganini, Liana Prezioso, Bruno
Satta - Gli articoli possono essere riprodotti citando la fonte - Il progetto
dell’Associazione San Benedetto al Porto, in collaborazione con il Ser.T.
Usl 3 genovese e la L.I.L.A., è finanziato dal Fondo Regionale lotta
alla droga della Regione Liguria (delibera della Giunta n° 740 del
27.03.1998) - Tiratura: 2500 copie - Stampato presso: Coop.
Soc. La Lanterna - TipoLitografia.